13 dicembre 1903, nasce il cono gelato


C’è una data che segna più di altre la storia del gelato, universalmente inteso. C’è una data che più di altre ha cambiato l’immagine che diamo ad uno dei prodotti che più è in grado di suscitarci emozioni, ricordi, sensazioni.

Quella data è il 13 dicembre 1903. Quella è la data in cui Italo Marchioni, italiano residente a New York City, richiese e ricevette il brevetto statunitense per l’invenzione del cono. Non si può essere certi che sia stato lui ad inventarlo, il cono. Le opzioni a riguardo sono tante, spesso discordanti. Ma il 13 dicembre 1903 resta un punto certo nella storia del cono gelato.

Le origini

Il cono è uno dei “contenitori” possibili per il gelato. È di forma conica aperto da una parte, spesso fatto di wafer o biscotto o altre cialde, da impugnare naturalmente con la parte aperta in alto.

Le radici arrivano fino a Caterina de’ Medici che pare introdusse le sue ricette in Francia. E anche in Inghilterra tale tradizione pare diffusa fin dal Sedicesimo secolo. Di una cosa si è quasi certi: alla base di tutte queste tracce storiche c’è sempre un italiano.

La figura di Marchioni

Il 13 dicembre 1903 Italo Marchioni, nato in una piccola frazione di un Comune del bellunese ed emigrato in America alla fine dell’Ottocento (come tanti altri pasticceri e gelatai delle Dolomiti), ricevette il brevetto statunitense n. 746971 per l’invenzione del cono gelato. In particolare per l’invenzione di un macchinario per la produzione dei coni che “può essere particolarmente comoda per manipolare e modellare la pasta in forme insolite che finora non sono mai state create, a causa della delicatezza della sostanza e della difficoltà di staccare la sostanza dagli stampi”.

In realtà lui stesso aveva venduto il gelato nel cono in America fin dal 1896.

Philadelfia, New York, New Jersey le tappe della sua storia a stelle strisce. Ristoranti, bar e una fabbrica di coni e cialde nella piccola Hoboken le sue attività.

Il passaggio dal bicchiere al cono

Non venivano restituiti. Cadevano e finivano inevitabilmente per rompersi. Erano poco pratici, un po’ freddi se vogliamo. I bicchieri di vetro in cui si serviva il gelato a New York all’inizio del Novecento rappresentavano una scomodità e, anche, una piccola perdita di capitale.
Né tanto meno aiutavano i coni di carta. Troppi rifiuti da smaltire.
Insomma, il cono ancora non esiste e i gelati vengono consumati in contenitori di varia forma e dimensione. In Austria e in Germania ci si portava il bicchiere da casa, i nobili lo mangiavano in coppette da gelato in porcellana, altri spesso anche in piatti fondi. L’esigenza di utilizzare qualcosa di più comodo e trasportabile, insomma, si faceva sentire. In Francia coni di metallo o di carta, in Austria ancora su un cartone quadrato. Ma niente di commestibile. Ecco perché Marchioni inventò il cono: uno stato di necessità, un rimedio all’italiana, la nostra caratteristica inventiva.

Marchioni è attualmente ritenuto l’inventore del cono più accreditato. A certificarlo quel brevetto che altri non hanno ottenuto. Così come il Cadore e la Val di Zoldo sono ritenuti al pari della Sicilia la patria del gelato. In realtà, le cronache narrano anche di dissidi circa quel brevetto. Italo Marchioni fu osteggiato a tal proposito da Frank Marchioni, un suo cugino possedeva un negozio di gelati a New York, e da Antonio Valvona, che nel 1902 aveva brevettato sempre negli Usa un forno per produrre “coppe di biscotto per gelati”. Ma questi sono processi giudiziari senza certezze e tali restano. Che non intaccarono la fama di Marchioni (Italo).

Il New York Times alla sua morte, il 29 luglio 1954, scrisse: “Nel 1896 preparò il primo cono e alcuni anni dopo, secondo la sua famiglia, ne ottenne il brevetto originale. Il dibattito sul brevetto del cono, oggetto di molte controversie e polemiche, non è mai stato del tutto risolto”. Soprattutto tutto questo non cambia il senso della storia: il 13 dicembre è e resta una data significativa.

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Le altre ipotesi

Secondo le versioni riportate a più riprese dal New York Times, uno dei venditori presenti alla Fiera Mondiale di St. Louis del 1904, il pasticcere siriano Ernest Hamwi, introdusse un nuovo modo di mangiare il gelato: con una pasta densa cotta in una pressa per wafer.

Non esistono documenti scritti che confermino questa storia e in realtà furono diversi gli espositori della Fiera di St. Louis del 1904 ad attribuirsi l’invenzione del primo cono. Un altro siriano, un immigrato turco e due fratelli dell’Ohio entrano nel sentito dire, quasi leggenda.

Tra l’altro a smentire l’ipotesi St. Louis c’è la storia già raccontata della famiglia Marchioni, Italo e Frank.

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L’Italia

Un dato è certo più di altri: il gelato moderno è un’invenzione italiana, con una derivazione araba e una lunga tradizione cinese, ma con un fortissimo marchio nostrano. Gli artigiani e le aziende italiane sono le migliori sul mercato e tali restano. Oggi anche il cono è diventato a suo modo un’arte: in Italia agli inizi del Novecento anche il gelato non sfuggiva alla regole del mangiare con posate, tovaglie e tovaglioli, servito in bicchieri di vetro o impiattato e consumato con un cucchiaino. Il cono mangiabile arriva in Europa nei primi anni del Novecento e in Italia negli anni Trenta, in particolare a Trieste, la città in cui, proprio in questi anni, si diffondevano i porzionatori rotondi a pallina (protagonista ancora un gelatiere originario della Val di Zoldo).

Il cono oggi

Il “Cornetto” è commercialmente quello più noto. Ma il cono gelato artigianale vive nuove frontiere. La preparazione della cialda nel momento stesso in cui si serve il gelato, le diverse forme del cono stesso e lo studio su fragranza e croccantezza sono versanti ormai battuti. E strade percorse dalle gelaterie di alto profilo per offrire un’esperienza di gusto superiore.
Rendere unico il gelato attraverso qualità e ricercatezza. Lo stesso approccio di Fb Showcases: offrirvi, come sempre, il meglio possibile.

ANTONELLO MINOIA

Giornalista pubblicista, con una passione smisurata per i carboidrati, per lo sport e per tutto quello che è scrittura, testi, contenuti e comunicazione. Da bambino scrivevo favole, da “grande” volevo fare il poeta o lo scrittore. Mi dicevano: “Non raccontare storie”. E, invece, io proprio quello faccio: racconto storie.

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